APPUNTAMENTI ONLINE AL BROZZI
lunedì 24 maggio, ore 21,15
I soci del circolo “La Bottega Photographica” di Boretto (RE) presentano:
“Il fiume: Osservazioni, Attraversamenti, Correnti“, lavoro di gruppo
La serata avrà luogo in videochat tramite piattaforma ZOOM. L’invito è esteso a tutti gli interessati, anche non soci del C.F. “Renato Brozzi”.
Si potrà partecipare inviando una e-mail con richiesta dei codici di accesso a:
programma@cfbrozzi.it
comunicando cognome, nome e città di provenienza.
I partecipanti sono pregati di entrare con nome e cognome, evitando sigle, nickname o simili.
Vi aspettiamo!!
Introduzione
Il progetto nasce per l’opera dei soci della Bottega Photographica, che per la vicinanza del fiume al nostro paese, hanno dedicato per circa 15 mesi una particolare attenzione al Po immortalando con le loro macchine fotografiche diversi aspetti e sensazioni provocate dallo scorrere delle acque. La cura dell’opera è stata affidata alla dott.ssa Laura Manione, storico della fotografia, curatrice di volumi, mostre ed eventi fotografici nazionali ed Europei.
I partecipanti raccontano con autorialità il proprio sentire, vivere, vedere il Fiume. Il prodotto legato alla fotografia contemporanea attuale, e di ampio respiro, pensa al Po ma anche, al tema fiume in generale come metafora dei nostri racconti di vita. Il fiume, come il mare, è il simbolo dello scorrere inarrestabile dell’acqua, ossia la dinamica e la scansione del tempo.
La stampa del volume è stata affidata a Fiaf ,in particolare alla collana RIFLESSIONI ,vista l’importanza del lavoro per i soci.
SOGGETTO E COMPLEMENTO
Si tratta piuttosto di privilegiare un po’ di più la ricerca, anziché obbedire a regole fisse.
Luigi Ghirri
Occorre un particolare “equipaggiamento” per seguire tutte le fasi di un percorso fotografico corale incentrato su un unico soggetto: uno sguardo che si sforzi di essere elasticamente severo o permissivo; una strumentazione culturale/iconografica da utilizzare per funzionalità e non per erudizione; un piano di lavoro e un sistema di valutazione costantemente mirati all’inclusione.
Perciò, quando Monica Benassi, a nome dell’associazione che presiede, mi chiese di occuparmi di un embrionale “Progetto Po”, mi presi qualche momento per ponderare alcune criticità.
Premetto che non era certo in discussione il piacere di infittire i miei incontri con i componenti di Bottega Photographica: dopo tanti workshop di cultura fotografica e varie collaborazioni, posso dire di aver consolidato con loro un rapporto professionale e amicale.
I punti su cui riflettere erano altri. Essenzialmente tre: la complessità di rendere accessibile, ma non banale, un soggetto, il fiume – e nello specifico il Po – con cui la fotografia si è misurata sovente e sovente ad altissimi livelli; la necessità di mantenere vivo l’interesse per una dimensione laboratoriale che si sarebbe certamente prolungata nel tempo, dilatando i consueti tempi di produzione;
l’impossibilità di selezionare gli autori (un gruppo va sempre “com-preso” nella sua totalità) e la conseguente difficoltà di accordare persone aventi un livello di consapevolezza e un approccio alla
fotografia piuttosto difformi.
Superate le riserve, occorreva proporre un metodo che non esaurisse la sua efficacia in ambito collettivo, ma fosse comunque in grado di fornire degli strumenti utilizzabili individualmente. Per tale
motivo, oltre ai passaggi necessari alla realizzazione di un progetto (ideazione, riprese, editing, stesura dello statement, stampa, soluzioni espositive ed editoriali) non ne sono stati neppure trascurati altri più idonei a sollevare una riflessione di ampio respiro.
A partire dall’ampliamento – o dalla creazione – di un repertorio iconografico “fluviale” in cui far convergere i lavori di autori che hanno segnato la storia della fotografia o che vivacizzano la scena
contemporanea; un serbatoio visivo da cui ognuno potesse attingere per dare forma e coerenza alla propria esigenza espressiva.
La fotografia, è risaputo, non procede per compartimenti stagni e non pretende arroccamenti. È spuria, non pura. È fluida e permeabile. Consente di lambire o penetrare qualsiasi aspetto della realtà con atteggiamenti e propositi differenti.
Pertanto, riconducendo pochi esempi all’alveo di questa ricerca, il fiume può essere la presenza, visibile o suggerita, che rende più efficace un racconto o una messinscena, come accadeva nel celebre autoritratto da finto annegato di Hippolite Bayard costruito come un j’accuse, nel 1839, pochi mesi dopo la presentazione al mondo del dagherrotipo. Oppure, osservando la lunga parabola fotografica americana che parte dai pionieri fino ad arrivare ai Nuovi Topografi, il fiume può essere assunto come filo conduttore per la comprensione delle modalità e delle urgenze con cui è stata affrontata e destrutturata l’idea stessa di paesaggio. Infine, per non dilungarsi e restringere il campo, il Po, il “Grande Fiume”, può rappresentare quella cosa antica che i fotografi italiani, dai neorealisti agli esponenti della scuola di paesaggio di matrice ghirriana, hanno progressivamente saputo guardare, citando la famosa esortazione di André Breton, con occhio nuovo.
Sulla base delle brevi e non esaustive considerazioni appena riportate, si intuirà quanto i progetti realizzati durante il laboratorio derivino da una vivace sperimentazione, spaziata dalla documentazione all’espressione più intimista, dalla ricerca squisitamente estetico-formale a qualche timida, ma benvenuta, incursione nel concettuale. Nell’eterogenea “grammatica” usata dai quindici partecipanti, il Po e la fotografia funzionano al contempo – e interscambiabilmente – da soggetto e complemento: sono l’elemento e il mezzo che concordano, contraddistinguono o estendono visioni e significati, diventando, all’occasione, “palestra” di introspezione, osservazione, racconto, gioco e – soprattutto – confronto.
Non voglio aggiungere ulteriori dettagli alla descrizione dei singoli lavori: facendolo, li priverei dell’autonomia che hanno raggiunto anche grazie all’impegno profuso da ciascun autore nella stesura del proprio statement. Presentazioni volutamente concise e prive di qualsivoglia retorica, scritte, prima che per supportare lo spettatore, per verificare con se stessi la coincidenza tra intenzioni e immagini.
Ma se una serie, per non comprometterne la lettura, non può essere disgiunta dal testo che l’accompagna, l’insieme dei progetti qui raccolti è invece – e felicemente – destinato a disgregarsi una
volta esaurita la parentesi espositiva ed editoriale collettiva.
In conclusione, il mio augurio è che, dopo aver legittimamente intrapreso consuete o inedite vie di promozione personale, ogni fotografo possa guardare a questa esperienza comune come l’inizio o il rafforzamento di una presa di coscienza sul fare e pensare la fotografia, oggi.
Laura Manione, Novembre 2020